STORIA DELLA CHIESA DI SAN FRANCESCO DI PAOLA
di Ivo Tampieri

Dando fede ai nostri storici, specie al padre conventuale Girolamo Bonoli, che pubblicò la sua storia nel 1732,  "In vicinanza di Lugo, nel fondo detto Stiliano contiguo a quello di Cento, fabbricarono gli antichi Lughesi una Chiesa d'onesta grandezza al Santo Abate di Galliata (S.Ilaro) Protettor loro. In qual tempo determinato seguisse la fondazione di lei sta all'oscuro, si deve credere però che indubitatamente seguisse sotto il dominio degli arcivescovi di Ravenna, che succedettero nella signoria di Lugo dopo la morte di S.Agnello, dal quale, per tradizione, ebbero i Lughesi il Santo Abate per Protettore."

Il Soriani sulla scorta dei Monumenti Ravennati del Fantuzzi afferma che il primo documento riguardante la Massa di S. Ilaro in Stiliano risale al 980.
Ciò non significa che l'esistenza di quella "massa" inizi in quell'anno.
Che anzi, essendo oggetto di contratto, logicamente se ne deve dedurre che la località era preesistente.
Che il territorio della Massa di S.Ilaro e il luogo ove poi sorse Lugo appartenessero alla diocesi di Imola lo attestano numerosi documenti che ritroviamo nel Chartularium Imolense di Gaddoni-Zaccherini.

Il primo porta la data 18 maggio 1151, quando papa Eugenio III confermò a Rodolfo vescovo imolese i diritti e i possessi della sua chiesa; il secondo in data, penso, 30 marzo 1179, dico penso, perchè nel testo, per errore di stampa, è scritto 36, di papa Alessandro III che riconferma tali diritti e possessi a Enrico, vescovo pro-tempore d'Imola, annoverando tra di essi: ".... decimacionem novalium in Silva de Lugo ..."

Il vago e indiretto accenno a Lugo significa che a quei tempi un centro abitato di quel nome c'era e non c'era.
Opino che il borghetto denominato Lugo sorgesse in quegli anni, sotto la prote­zione della Rocca, sul lato sud della stessa, ove ora c'è il Pavaglione, comprendente la casa del Pubblico, un mulino, situato sul ponte di Brozzi, come ancora i vecchi chiamano l'inizio di corso Mazzini, e naturalmente la chiesa, dedicata a San Giacomo Apostolo, la chiesa più antica di Lugo è quindi S. Ilaro in Stiliano, fondo che si può identificare con i terreni posti tra il Rastello (estremità di via Cento), la ferrovia Lugo-Lavezzola e il canale dei Molini, che ancora non esisteva. La chiesa era posta con ogni probabilità sulla attuale via Paurosa, oltre l'incrocio con la via Corridoni.
Nell'angolo ovest di quell'incrocio esisteva fino a questo dopo guerra una antica e tipica casa con una torretta, di proprietà della famiglia soprannominata "Garlindou" (Geminiani), nella quale la tradizione ravvisava le ultime vestigia di quell'antico tempio dedicato al santo Abate di Galeata.
Le due chiese, questa e S. Giacomo, erano semplici cure d'anime e dipendevano dall'antica pieve di S. Stefano in Barbiano.
Il clero addetto alle chiese dei due borghi separati di Stiliano e di Lugo, ormai il nome l'aveva preso, era obbligato a rendere servizio religioso presso la Pieve di Barbiano durante le principali solennità dell'anno, non poteva battezzare, trovandosi l'unico fonte battesimale a S. Stefano, doveva pagare una decima sulle offerte e le primizie ricevute.
È ovvio che il clero lughese cercasse in ogni modo di sottrarsi a questi obblighi, e le relative controversie non si contano.
La fine della soggezione del clero lughese da Barbiano avvenne solamente sotto il pontificato di Clemente V, il primo papa avignonese, che regnò tra il 1305 e il 1314.

Con sua bolla egli elevò a parrocchia, con la concessione del fonte battesimale, le due chiese lughesi, liberando il loro clero dai gravami imposti da Barbiano, al quale tuttavia veniva confermata la primazia giurisdizionale su un vasto territorio della bassa lughese.
Erra perciò il Soriani che indica il 1315 quale anno di nascita delle due nuove parrocchie lughesi, se non altro che per il semplice motivo che papa Clemente V, concessionario, morì nel 1314.

La totale indipendenza delle chiese lughesi da Barbiano avvenne invece sotto il marchese Borso d'Este, che assunse il potere nel 1450.
Come è noto Lugo era passato sotto la signoria ferrarese nel 1437.
Tra Borso e Francesco Sforza, signore di Milano, dopo aver spodestato i Visconti, si venne a patti per stabilire i confini tra i feudi degli Sforza e i domini estensi a sud di Lugo.
Barbiano ridotto ormai a modestissimo villaggio, venne aggregato a Cotignola sforzesca; Lugo ovviamente rimase estense.

Era perciò logico che appartenendo a due stati diversi, venissero separati anche i rapporti tra i due cleri.
Agli inizi del 1200 Lugo era la "terra" più ragguardevole della parte bonificata e coltivata della già palude esistente tra Ravenna, il mare e la via Emilia, sotto la giurisdizione dei vescovi d'Imola.
E la nostra "villa" era fieramente contesa tra gli Arcivescovi di Ravenna, legittimi sovrani del territorio fin dai tempi dei bizantini, i Faentini e i conti di Cunio.
Aveva una comunità ben organizzata e un Podestà fin dal 1202 nella persona di Jacopino della Pecoraia, nobile piacentino.
Nel 1216 il nostro piccolo borgo venne assalito, occupato e distrutto dai Faentini, che deportarono anche la popolazione superstite.
Ma già nel 1228 Lugo era risorta, giurando fedeltà all'arcivescovo di Ravenna Teodorico, come risulta da una pergamena esistente presso l'Archivio Episcopale ravennate sotto il n. 5100 - anno 1229, citata dal Soriani. Tanto che nel 1232, essendo rimasta semidistrutta S. Potito da una rotta del Senio, i superstiti si rifugiarono in Lugo.
Ugual sorte toccò ai Fabriaghesi poco più tardi, a cavallo della metà del secolo.
Che anzi questi ultimi con patto sottoscritto l'11 febbraio 1264 si affidarono completamente a Lugo, entrando a far parte della Comunità Lughese e trovando sistemazione nei pressi del "Trivio" (Trebbo) e in via Cento.
È poi verosimile  che i Fabriaghesi nati sotto e nella fede e nella devozione alla Vergine che dava titolo alla loro antichissima pieve, se non una immagine certo il ricordo di essa si siano portati nella loro nuova patria.
La chiesa intitolata a S. Maria sorse più tardi, come vedremo; nulla però vieta di credere, anzi è logico crederlo, che nei pressi del Trebbo sorgesse una prima cappella, costruita dagli stessi esuli, intitolata a Maria.

Edmondo Ferretti, l'eminente studioso di Lugo e di Cento in particolare, mi confidava di avere morale certezza, che l'antica cappella della Madonna si trovasse nel sito della casa del fornaio Angelo Bertini, popolarmente conosciuto e chiamato "Giralanotte", posta nell'angolo ovest del vicolo Canattieri con via Cento.
Antichissima e vasta casa con vari e singolari ambienti a pian terreno, che si prestavano a valutazioni, circa l'uso, dalle quali non si poteva escludere la possibilità di essere stati in passato dedicati al culto.

Malauguratamente la casa venne demolita in questo dopoguerra, or non sono molti anni, perdendosi così una delle testimonianze dell'antica Lugo.
Aumentata la popolazione del Borgo Cento, fuori e separato da quello del Castello, si sentì la necessità, allora era tale, di costruire una nuova chiesa, a metà strada tra S. Ilaro in Stiliano e S. Giacomo nella cittadella, in quella località detta il Trivio o Trebbo, luogo di raccolta e di affari oltre che di scambi, ove solamente e dopo la piazza, davanti alla cittadella, venivano banditi gli editti e le ordinanze della Comunità.
La data indicata dal Bonoli oscilla tra il 1335 e il 1340, "... essendo vescovo d'Imola mons. Rinaldo o, secondo il Manzoni, Rimbaldo e principe di Lugo Taddeo Pepoli, signore di Bologna: il luogo nel quale venne edificata fu nelle vicinanze del Trivio, la situazione fra le case della famiglia de' Rinaldi; e comechè il capitale della sua fabbrica era negli incerti delle limosine, stette più di trentanni in piedi imperfetta. Compiuta poscia ch'ella fu venne consacrata a S. Maria Annunziata, della quale i Lughesi tenevano devozione distinta ..."

Secondo Mino Martelli la vecchia Pieve di Fabriago era intitolata, e lo è ancora, alla Natività, essendo stata in precedenza anche dedicata a Maria Assunta.
Ecco perchè non credo che la statua della Madonna della Cintura risalga a quei tempi.
Il nuovo tempio venne terminato attorno al 1370 ed era una semplice cura d'anime. Il salto di qualità avvenne nel 1390, quando a cagione dei pericoli cui era esposta l'antica chiesa di S. Ilaro, lontana dal centro fortificato, per le continue scorrerie di armati regolari e irregolari venne abbandonata dal parroco che si trasferì, consenziente la Comunità, nella nuova chiesa di S. Maria, cui venne aggiunto anche il titolo di S. Ilaro.

Il parroco di S. Ilaro, don Baldassarre di Matteo de' Matteuzzi del castello d'Oriolo, oltre le suppellettili sacre portò con sè anche la campana maggiore di Stiliano e le reliquie esistenti nella chiesa abbandonata, consistenti al dire del Bonoli, in una parte del pastorale di S. Ilaro, una croce di ferro di "meraviglioso artificio" coll'immagine "dorata a fuoco" del Santo, e parte del cranio di S. Anastasia.
Era tempo d'inflazione per le reliquie; non è quindi da dolersene, salvo forse per il pastorale e la croce di ferro di S. Ilaro, che nel corso dei secoli quei cimeli venerati dai nostri padri siano andati perduti.
Tanto più che oltre ai ricordati c'erano anche altri frammenti d'ossa di altri santi, tra i quali S. Lorenzo e S. Damiano.
La chiesa aveva un'unica cappella: quella dell'altare maggiore.
Nel 1404 essendo signore di Lugo il grande Alberico da Cunio o da Barbiano, la chiesa si arricchì di una reliquia di S. Antonio Abate, donata dallo stesso principe.
Anche il titolo di conseguenza si arricchì aggiungendo ai precedenti di S. Maria ed Ilaro quello del Santo Anacoreta Egiziano.

Tra il 1390 e il 1404 il parroco provvide alla costruzione della prima canonica vendendo un appezzamento di terreno comprato a prezzo di favore da Lodovico Borea, insigne giurista, figlio dell'ancor più famoso Marco, se non altro che per aver ospitato in una sua casa di via Cento, presso il Trebbo, papa Martino V verso la terza decade di febbraio del 1419, diretto a Roma, via Firenze, dopo il concilio di Costanza.
Per questa ospitalità i Buori (Borea) vennero creati conti; prima famiglia lughese insignita di tale titolo.
Ma poichè i Borea, cui subentrarono i Bartolotti, altra cospicua famiglia lughese, citata nelle Tavole Albriziane, possedevano tre angoli del Trebbo, essendo il quarto appartenente ai Rinaldi, ove poi sorgerà S. Rocco, la casa ospitale potrebbe essere una delle tre.  
Quella oggi con il supermercato, e quella del negozio della sig.ra Cavalli.
Si propende per quest'ultima a motivo  dei restauri all'interno vennero trovate antiche vestigia, mentre, caduto l'intonaco, sulla fronte di via Cento era apparso un grande arco a segnare un antico e vasto ingresso per carri.
In mancanza di documenti, genericamente il Bonoli parla di una casa di via Cento posta nei pressi del Trebbo, la mia ipotesi sembra almeno proponibile.
Il ricavato della vendita del terreno parrocchiale fu di L. 49 e soldi 4 che non bastava per il compimento dell'opera.
Fu fatto un debito del quale non è possibile fissare l'importo, che tuttavia il Bonoli dichiara superiore al ricavato della vendita.
Le famiglie creditrici dei Rondinelli, Trisi, Fugattini, Cinardi vennero regolarmente rimborsate dal successivo parroco don Monte de' Montellini di Ferrara.
Nel 1424 le milizie dei Visconti distrussero il castello dei Cunio di Zagonara; e ciò costrinse le famiglie del posto a emigrare a Lugo.
Tra di esse c'era una famiglia Ricci, un casato diffusissimo nel nostro antico territorio, un discendente dei quali, Niccolò con atto del notaio Giacomo Cèntoli, il 20 aprile 1466, lasciò diverse centinaia di lire ai nove cappellani di S. Maria, con l'obbligo di celebrare sei servizi funebri annuali.
Da questo legato ebbe inizio la Comunità dei preti di S. Maria, regolarmente riconosciuta e canonicamente costituita nel 1518 ad opera del vescovo diocesano mons. Domenico Scribonio.
Della Comunità facevano parte i cappellani e i benefi­ciari della chiesa, con possibilità di aggregazione da parte di tutti i sacerdoti della parrocchia a seconda dei legati regolarmente testati.
Della Comunità, che precedette quella di S. Giacomo di circa un secolo, fecero parte membri delle più antiche famiglie di Lugo.
Così troviamo, dei Cisoni, Vincenzo vescovo a S. Agata dei Goti nel 1572 e un Antonio vescovo di Oppido Mamertino; un Avanzo Cricca vescovo di Lione nel 1530; mentre Giulio Cesare Borea fu vescovo di Comacchio nel 1649; tutti avevano fatto parte della Comunità di S. Maria.
Nel 1528 era sorto il primo Ospedale di S. Rocco, che ebbe vita stenta e che subì nel 1562 una radicale trasformazione.
Il 12 marzo di quell'anno Giambattista Mariotti, figlio di Franceschino, dispose per testamento la fondazione di un "Ospitale" che volle dedicato a S. Rocco.
Qui però mi si permetta la solita digressione, che non s'allontana molto dall'argomento. Il 22 maggio 1830 l'Amministrazione Comunale, allora chiamata anche Magistratura, pubblicò l'elenco delle Strade, Vicoli e Piazzali nell'interno di Lugo, deliberato l' 11 maggio 1829, con rettifica 22 aprile 1830, approvato dal cardinale legato in Ferrara, Tommaso Arezzo il 13 maggio successivo.
In quell'occasione: "L'Illu.mo Consiglio Comunale di Lugo", come dice il documento agli atti del Comune, commise un grossolano errore, forse dovuto a distrazione dei funzionari addetti alla stesura dell'elenco, che male lessero, ahimè, il testo, qui chiarissimo del Bonoli sulla vicenda.
Infatti denominarono "Strada Mariotti ... a ricordo di Franceschino Mariotti, istitutore del Pio Spedale di S. Rocco ..." mentre fu il figlio di lui Giambattista.
Il Mariotti abitava in via Codalunga e che per i servizi dell'Ospedale era prevista la ricostituzione dell'omonima confraternita, saggiamente, gli esecutori testamentari, il Vescovo d'Imola, cioè, la Civica Amministrazione e i Ministri Ducali, come dice il Bonoli, ad evitare che in via Codalunga e quasi contigui sorgessero due ospedali (esisteva già, infatti, quello della Croce fondato dal Rainieri), decisero di potenziare quello, sbilenco, già in essere nel Trivio, intitolato a S. Rocco.
Da questa unione di beni dei due ospedali si trassero anche i mezzi per rifare, dopo il 1582, anno della fusione, l'oratorio S. Rocco, ora trasformato in cinema.
Il precedente tempietto risaliva al 1528.
La nuova chiesa era già consacrata nel 1600; e fu in quel­l'anno giubilare che, di passaggio per Lugo, il fiammingo Ernst van Schaych di Utrecht, tradotto dal Bonoli in un pittoresco "... Erneste Scaecchio tedesco belgiense, non ignorante professore ..." dipinse quello che, anche a giu­dizio di Corrado Ricci, è il più bel quadro di Lugo: i santi Rocco e Sebastiano, sovrastati dalla Madonna con il Bambino, in gloria; ai lati e in basso i santi protettori di Lugo, Ilaro e Giacomo.
Gli offerenti sono ritratti alla base della tavola.
Ora il grande quadro si trova nel coro di S. Onofrio con altre opere d'arte provenienti da luoghi di proprietà dell'Ospedale.
Lo stesso pittore dipinse per la Chiesa di S. Maria una Vergine in gloria col Bambino e due santi Bernardino e Valentino.
La chiesa così come la sagrestia e la canonica subirono, nel corso dei secoli, varie trasformazioni.
Nel 1575, essendo parroco don Tommaso Angelini, imolese, venne trasferito il coro dal corpo della chiesa tuttintorno all'altare maggiore, nell'abside, ove è stato fino  a quello nuovo realizzato nel 1907 in occasione del IV centenario della morte di san Francesco di Paola e costato undicimilalire.
Si diede nuovo e più ampio assetto alla sagrestia, che risaliva al 1470.
Un  secolo prima vennero aggiunte all'unica esistente, quella dell'altare maggiore, altre quattro cappelle.
La prima fu quella di S. Mattia costruita tra il 1578 e il 1580 per volontà e coi fondi di mons. Vincenzo Cisoni, vescovo, come già detto, di S. Agata dei Goti e già prete della Comunità di S. Maria.
Sulla destra dell'altare maggiore era già collocato il gruppo delle statue del Compianto del Cristo morto risalente al secolo XV°.
Nella ricostruzione della chiesa il gruppo venne trasfe­rito nella cappella ora detta dell'Angelo Custode, la prima a destra, entrando in chiesa.
Da lì venne tolto nei primi anni di ministero di don Luigi Bacchilega, prima cioè dell'ultima guerra e posto ove tuttora si trova.
La cancellata è opera dello scultore imolese Meluzzi.
La prima cappella, di S. Mattia, della quale si è detto sopra. (Era a fianco, "cornu Evangeli" dell'altare maggiore).
La seconda cappella aggiunta fu quella di S. Carlo Borromeo, che merita qualche parola di più .
Credo superfluo illustrare la figura del grande cardinale, che impersonò lo spirito e la prassi della nuova Chiesa sorta dal concilio tridentino.
Appena morto venne venerato quale santo da tutta la cristianità, che non attese il crisma ufficiale della Chiesa, peraltro giunto rapido.
Carlo era morto, quarantaseienne, nel 1584; Paolo V lo incluse nel calendario liturgico, sotto la data di nascita del 4 novembre, nel 1610.
E subito nel 1612, nella chiesetta dedicata a S. Cristoforo, di fianco e all'esterno della porta di San Bartolomeo, si costituisce una confraternita deno­minata di S. Carlo; sicchè la porta assunse anche il nome del santo cardinale.
A ricordare il fatto venne intitolata, in questo dopoguerra, una strada nelle vicinanze.
Nel 1613 il parroco di S. Maria, dottor Niccòlò Angelini, di fianco alla chiesa parrocchiale, ma con accesso diretto dalla pubblica via del Limite, ora Garibaldi, fece costruire un oratorio dedicato a S. Carlo, ove si trasferì la confraternita, costituita da soli laici e col privilegio di indossare la cappa in chiesa e fuori.
In ciò superando quella stessa della Cintura, peraltro sorta nel 1639, i cui membri potevano indossare la cappa solamente durante le processioni della Madonna.
Abbandonata dalla Confraternita, la chiesetta di S. Cristoforo venne chiusa al culto e nel giro di pochi anni, caduta in rovina, venne definitivamente demolita alla fine del secolo.
Circa a metà del 1600 l'oratorio affiancato alla chiesa parrocchiale venne trasformato in cappella interna ove era esposto il bel quadro, di recente restaurato e ripulito, del bolognese Alessandro Tiarini, della scuola dei Carracci, allievo in particolare di Lodovico, morto nel 1668.
La cappella detta poi della Cintura ora del Sacramento, è sopravvissuta alla demolizione della vecchia chiesa e incorporata nel nuovo tempio, costruito appunto cento anni fa.
La cappella risale al 1666 e si deve al dottore don Francesco Lugaresi, membro della nobile famiglia lughese che aveva case nell'attuale corso Garibaldi, parroco di S. Maria e vicario foraneo.
La spesa fu sostenuta dal Pubblico (Comune) e assistenti alla fabbrica furono Gaspare Borea de' Buzzaccherini e Avanzo Cricchi (Cricca), ambedue ascritti alla nobiltà lughese.
In virtù di quell'incarico i Borea ottennero il privilegio, anche in considerazione che la loro casa era e lo è ancora, appog­giata alla chiesa, di tenere aperto un pertugio a metà altezza dell'ancona tra di essa e il muro, attraverso il quale potevano assistere alla sacre funzioni senza uscire di casa.
Nella terza cappella che presso a poco si trovava ove è ora l'ultima della navata destra, prima della sacrestia, il parroco don Lugaresi fece collocare la Madonna detta di Santo Stefano, venerata ab antiquo, così detta perché era coronata da piccola formella con l'effigie del protomarti­re; da allora prese il nome di Madonna della Cintura, venerata e portata in processione "ad invocandam pluviam vel serenitatem."

Non credo che la statua risalga al 1300, quando cioè venne fondata la chiesa, come pare sostenga la Sovrintendenza; la sua origine sarebbe meglio collocata nella prima metà del 1400.
La pia tradizione di invocare la Madonna della Cintura quando non pioveva o pioveva troppo, è durata fino all'ultimo anteguerra.

Ecco la descrizione di una di quelle processioni, che molte volte sfociavano in clamorosi e scandalosi contrasti tra il clero delle due parrocchie di Lugo, prima della stan­gata di Benedetto XIV°, come la descrive don Agostino Poggiali nel suo diario, pubblicato sotto il titolo di "Storia di Lugo dal 1798 al 1838" : Maggio 1823 - Adì 16 - Alle ore 9: e mezzo tanto il Rev.mo capitolo che l'Ill.mo Magistrato si portarono alla Parrocchia di S. Francesco di Paola, e di lì con le Compagnie ed Ospitali in n. 14 assieme coi P.P. Carmelitani e Cappuccini si trasportò alla Chiesa Collegiata de' S.S. Petronio e Prospero (Di lì a poco (1828) venne soppressa e le subentrò il tempio S. Francesco d'Assisi, collegiata tuttora, per antonomasia.) la miracolosa Immagine di Maria S.ma della Cintura per implorare dal Signore Iddio e di Lei intercessione la bramata pioggia. Ivi giunti si cantò la solenne Messa, e dopo il pranzo sulle ore 5 e mezzo si fece la processione di Penitenza cantandosi le litanie dei Santi, quali si termina­rono nella Chiesa del Pio Suffragio. Di lì intuonandosi l'Ave Maris Stella si passò la santa Immagine sul palco apprestato dalla parte del pubblico granaio, e cantatesi le Litanie si benedì il Popolo colla detta S. Immagine, spa­randosi centinaia di Mortari. Dopo ciò si riportò l'Immagine alla sua Chiesa, ed ivi intuonandole l'Inno Ambrosiano, si coprì dal sig. Arcidiacono".

E poiché ho trovato in quel Diario quarantennale decine di queste notizie, bilanciate, è vero, da altrettante di segno opposto, vale a dire per impetrare la serenità, debbo concludere che anche allora esistevano lunghi periodi di siccità.
Per finire ecco, a conclusione, due altre annotazioni del Poggiali: "Maggio 1802 - Adì 12 - A cagione della troppa siccità si fece la solenne Processione della Immagine di Maria Vergine detta della Cintura onde implorare la pioggia. . Adì 16 - Fu coperta l'immagine della B.V. della Cintura e si cantò il solenne Te Deum in ringraziamento della pioggia ottenuta."

Anche queste notizie sono frequenti sarà una combinazione, però agli inizi del 1700 sorse ad opera della omonima confraternita la cappella del SS. Sacramento. (La quarta in ordine di tempo.)
Questa confraternita, la più antica di Lugo, aveva preso inizio quando ancora la parrocchia risiedeva in S. Ilaro in Stiliano e qui conservò la sua sede anche quando la parrocchia passò a S. Maria nel 1390.
Fu solamente nel 1613 che avvenne il trapasso.
E ciò significa che il vecchio tempio di S. Ilaro già abbandonato dai Carmelitani nel 1520, dopo averlo officiato per oltre un secolo, ponendosi la loro venuta in Lugo nel 1408, venne chiuso al culto nel secondo decennio del 1600 per non più risorgere.
Era il periodo del ministero di un grande parroco, quel don Angelini che aveva ricondotto ... all'ovile anche la confraternita di S. Carlo, come già vedemmo.
La terza confraternita, quella della Madonna della Cintura, fu costituita nel 1639, essendo parroco don Domenico Tassinari, lughese.
Il vecchio altare, non cappella, di S. Stefano, ove era collocata l'immagine della Madonna denominata da quel Santo, poi detta della Cintura, era stato eretto dalla famiglia Biondi, che ne aveva quindi il giuspatronato.
Era una delle più antiche di Lugo, col soprannome "Mariani"; ad essa appartenne il Beato 'Mariano", frate laico francescano, perla del convento di Lugo (ora Collegiata), che morì il 1 gennaio 1495.
Le sue, spoglie, al dire del Bonoli, furono portate e sepolte "all'Averna", dove, nel luogo delle Stimmate di S. Francesco, era nata la sua vocazione.

Nel 1730, quando il nostro storico scriveva sulle vicende lughesi, la chiesa di S. Maria aveva quindici altari dotati di beneficio semplice, com­presi quelli delle confraternite e si presentava, eccettuate quelle dei francescani e dei domenicani, come la chiesa più frequentata, moderna si direbbe o, se si vuole, alla moda e in grado di scalzare la primazia della vecchia e compassata S. Giacomo; anche se il clero di Brozzi, come vedremo, la considerava alla stregua di un fienile.
Forse fu questa la ragione principale per cui ci rimise le penne ad opera del bolognese Prospero Lambertini quando divenne Benedetto XIV.
Nell'ultima cappella di Santa Maria, a destra entrando, prima di accedere alla sagrestia, sull'altare, semi nascosta, si trova una ceramica a sfondo azzurro cupo che rappresenta la Madonna dei Sette Dolori.
A quella immagine è legata una storia tragica e festosa ad un tempo, che è degna di narrazione.
E poiché mi ha sempre colpito molto per la sua singolarità, la narro, contrariamente al solito, con mie parole, pur essendomi il Bonoli traccia e falsariga, se così si può dire. (Storia di Lugo pag. 317).
Siamo nel 1710 (agosto), nell'Orto dei Domenicani, immenso, che si stendeva verso ovest, dal convento fino all'attuale circonvallazione; cominciano a calare le ombre della sera.
Sull'argine interno del vallo corre un sentiero che mette in comunicazione il Rastello con porta Brozzi.
Un ortolano dei frati ode nella calma della sera un colpo di archibugio.
Corre, e ai piedi di uno dei tanti alberi che coronano la sommità dell'argine, quasi di fronte alla carrara interna dell'orto che porta al convento, trova il corpo ancora caldo di un uomo.
Chiama aiuto; accorre gente.
Immediatamente il morto viene individuato; si tratta del boia (esecutore di giustizia) Bartolo Godi, genovese, in servizio presso il Cardinale Legato di Ferrara.
Le indagini, poi, identificarono l'assassino, che, stranezza dei casi della vita!, era un compagno di mestiere dell'ucciso, un' altro boia cioè, di origine marchigiana.

Vincenzo Cingetta, detto il caporale, forse era il capo responsabile degli ortolani dei frati, colpito da quel fatto di sangue, secondo l'uso del tempo protrattosi fino ad oggi, appese all'albero, alle cui radici era stato trovato il cadavere, la Madonnina dei Sette Dolori.
Era l'estate del 1710.
È temeraria quindi l'affermazione di Michelino Rossi, che nella sua Guida di Lugo fa risalire la tavoletta al 1500.
Passarono tredici anni e si sparse la voce che quella Madonnina operava miracoli.
Doverosamente qui cito e trascrivo il testo del Bonoli: "Per queste grazie la Sacra Immagine venne di grido e il concorso del popolo, non solo di Lugo, ma di tutte le terre, Luoghi e delle medesime Città vicine per visitarla, era sì numeroso e continuo, che la ripa anco nelle ore notturne era piena di persone; e come che ella continuava ne' prodigi, e i divoti per la di lei intercessione riportavano da Dio rimedio ai loro malori, nacque contesa tra l'Arciprete di Santa Maria e i religiosi di san Domenico per la giurisdizione del luogo e di conseguenza per la padronanza dell'Imma­gine".

Vale a dire che il diavolo ci mise la coda; e fu lite tra la parrocchia e il convento dei domenicani.
Roma decretò che la Madonnina Miracolosa venisse portata in San Rocco ; il che avvenne nell'agosto del 1725.
La disputa che lacerò il clero lughese nei primi decenni del 1700 era alimentata e fondata sul diritto di precedenza.
Le due parrocchie se lo contendevano con astio e senza esclusione di colpi.
Prospero Lambertini, cardinale arcivescovo di Bologna spesso si trovò investito da questo problema.
Memorabile lo scontro tra gli avvocati e i medici bolognesi, nessuno dei quali voleva stare dietro all'altro.
Il cardinale, con la sua arguzia graffiante risolse la questione con il memorabile detto: "praecedant latrones, sequantur carnifices ...". vale a dire: prima i ladroni, poi i carnefici.

In sostanza S. Maria, qui sta per clero e comunità ecclesiale, vantava titoli di origine più antica di quella di S. Giacomo, rifacendosi a S. Ilaro in Stiliano, il cui titolo di parrocchia venne traslato in S. Maria in Trivio nel 1390, sino a chiamarsi e nessuno poteva negarlo, s. Maria e Ilaro, assumendo così anche il culto del Santo patrono di Lugo.
Replicavano gli avversari che S. Ilaro in Stiliano era stato fondato, e in ciò, penso in buona fede, sbagliavano di grosso, dai Fabriaghesi fuggiti dalla loro terra e rifugiatisi in quella località nel 1264.
Adducevano quale prova l'iscrizione posta sulla famosa campana che il parroco di S. Ilaro portò con sé a S. Maria, ove si leggeva: Pax Christi me fecit anno domini 1264 - Ave Maria! Sanetus lilarus defendat populum suum.
A volte il diritto o presunto tale si attacca anche a una sottile fune di campana!
Infatti una campana fusa nel 1264 non prova che il campanile che la porta abbia la stessa età.
Aggiungeva, il clero di S. Maria, che la loro comunità ecclesiastica era stata fondata nel 1518, come vedemmo; mentre quella di S. Giacomo era stata fondata solamente nel 1624.
Rinforzava poi la propria tesi portando in campo il diploma col quale Clemente XII in data 16 marzo 1734 aveva trasfor­mato tale comunità, promovendola a capitolo, presieduto dall'arciprete parroco don Livio Cicognini, divenuto così anche prevosto.
Anche in questa occasione i preti di S. Maria furono più svelti dei loro antagonisti di S. Giacomo; e sono certo che qui operò lo zampino di mons. Tommaso Emaldi, astro nascente della Curia Romana, parrocchiano di S. Maria, in quanto il capitolo di Brozzi venne istituito solamente l'anno dopo.

Apparentemente S. Maria aveva se non tutti, molti titoli per rivendicare la primazia ecclesiastica lughese. Ma l'argomento buono, quello che taglia la testa al toro, come suol dirsi, era nelle mani del clero di S. Giacomo, che l'usò più volte, più o meno a proposito e che alla fine fece pendere la bilancia dalla parte giusta.
A differenza delle due altre chiese primeve di Lugo, una certamente la più antica, quella di S. Ilaro in Stiliano, e S. Maria in Trivio, che erano poste in due borghetti al di fuori detta cittadella, S. Giacomo sorgeva all'interno del borgo protetto dal castello, essendo considerato il tempio ufficiale della Comunità; borgo che poi prese il nome di Lugo.
Cento e il Trivio, Stiliano mai, vennero poi inglobati nella "gran­de" Lugo degli Estensi.
Fu allora che anche S. Giacomo dalla cittadella venne trasferito nel sito attuale, pur rimanendo sempre la chiesa ufficiale della Comunità, ove venivano celebrate le funzioni promosse dalle autorità, venivano stilati gli atti pubblici solenni (tra gli altri, in S. Giacomo, venne sottoscritto l'atto di affidamento dei Fabriaghesi a Lugo), i congressi del clero locale.
Aggiungasi che il territorio di giurisdizione parrocchiale comprendeva tutta la vecchia Lugo, il centro con la Rocca, sede del governatore, la casa comunale, la via Codalunga e parallele a nord e a sud, i Polligari, oltre, ovviamente, Brozzi e pertinenze fino alla Madonna del Molino. Possiamo immaginare i confini tra le due parrocchie se tracciamo idealmente una parallela al decumano maggiore, via Matteotti e via Mazzini, corrispondente all'asse Ravenna-Bologna, che congiunga i due conventi di S. Francesco (ora Collegiata) e di S. Domenico, la cui chiesa fu distrutta da una bomba la sera di S. Stefano del 1944 e della quale è rimasta la romanica, cinquecentesca torre.
Immenso era l'orto dei domenicani estendentesi dalla attuale via Emaldi fino alla circonvallazione ovest e dalla via Amendola, ai confini di via Cento, lasciando ai Cappuccini il terreno che è ancora occupato da quel convento.
Le parrocchie non avevano diretta giurisdizione sulle "Religioni", come allora si chiamavano le Congregazioni Religiose; tuttavia, nominalmente, il convento di S. Francesco dipendeva dalla parrocchia di S. Giacomo e quello di S. Domenico da S. Maria.
La contesa, dopo la costituzione dei due Capitoli, 1734 quello di S. Maria, 1735 quello di S. Giacomo, si era trasformata in rissa quotidiana; i più futili motivi erano pretesto per incidenti clamorosi.
Nella memoria-ricorso indi­rizzato alle superiori e competenti autorità ecclesiastiche romane, stampato a cura del Capitolo di S. Giacomo sotto il titolo "Ragguaglio sopra l'origine delle due chiese parrocchiali di Lugo - Delle loro prerogative e delle liti che sono state tra li due Cleri ascritti alle medesime fino all'anno presente 1737" è contenuto, come dice il titolo stesso, tutto il contenzioso, esposto dalla parte che si riteneva lesa nelle prerogative derivanti dalla sua vantata primazia su tutte le altre Chiese di Lugo.
Il volume, in possesso della nostra biblioteca, i cui dirigenti, gentilmente e per risparmiarmi la fatica di salire quelle scale, me ne hanno fornito una copia fotostatica, è formato da 167 pagine, con allegata cartina topografica del centro di Lugo ed è diviso in tre parti.
La prima tratta dell'origine delle due chiese con abbondanti documenti d'epoca integralmente riportati, con citazione della fonte; la seconda tratta della erezione canonica dei consorzi ecclesiali (comunità, capitoli,) riportando o citando i documenti vescovili e papali inerenti.
La terza infine enumera le prerogative di cui godette sempre e godeva all'epoca (1737) la Chiesa di S. Giacomo, dopo l'elevazione a Collegiata, avvenuta per opera di papa Clemente XII, felicemente regnante.
Segue una serie di diciassette quesiti in merito ai fatti determinanti la contesa, dei quali si chiedeva la soluzione ovviamente nel senso interpretativo favorevole al Capitolo di S. Giacomo, proponente.
La formulazione dei quesiti è sottoscritta da cinque avvocati curiali: Nicola Cuccovilla, Vincenzo Morotti, Domenico Fabretti, Carlo de' Girolami, Ferdinando Pecci. Nel 1740 l'incartamento era stato esaminato e consegnato al Cardi­nale Belluga da parte della Sacra Congregazione dei Riti con le relative proposte da promulgare.
Ma la decisione finale venne ritardata dalla morte di Clemente XII e dall'ascesa al trono pontificio di Prospero Lambertini, Benedetto XIV, nello stesso 1740 (agosto).

Accanto ad argomenti validi e a documenti inoppugnabili, il memoriale, sempre informato a profondo astio, appena velato dalla forma ampollosa e burocratica del tempo, nei confronti degli "avversari", contiene puerilità e pettegolezzi, quali oggi chiamiamo chiacchiere da caffè.
Ne riferisco due.
A un certo punto per provare "ad abundantiam" la supremazia di S. Giacomo su S. Maria si afferma: "... perloché è universalmente riconosciuta (S. Giacomo) per la chiesa più bella e capace di tutte le altre di Lugo per le pubbliche, generali funzioni, attesa la sua struttura magnifica; laddove l'altra di S. Maria è così umida, oscura, deforme e scomoda, che senza veruna esage­razione sembra piuttosto un fenile". (P.I. - n. 79).

E, ancora, secondo riferimento, l'incidente delle campane del 1736. Testualmente il "Ragguaglio" dice: "... Gode ancora presentemente la Chiesa di S. Jacopo la prerogativa d'essere la prima a sciogliere le campane il Sabato Santo; e dalle quali sogliono prendere regola tanto quelle della Comunità (Municipio) quanto l'altre delle religioni (Conventi) e benché il Clero di S. Maria l'anno scorso 1736 facesse sciogliere le sue alla metà delle Profezie per prevenire le nostre".
A comprova del fatto si allegano due testimonianze, una a firma singola e l'altra con cinque firme.
Era avvenuto che la mattina del Sabato Santo del 1736 con "ammirazione" (sta per stupore), e scandalo di tutto il popolo, contro i prescritti riti e le inveterate consuetudini della Chiesa lughese, dalla Collegiata di S. Maria furono "sciolte" le campane assai prima di intonare il Gloria in Excelsis, mentre ancora si cantavano le Profezie.
Ovviamente, e uniche nella Città, risuonarono pure quelle dell'Ospedale della Madonna del Limite (ora Banca del Monte) e quelle di S. Rocco a dare manforte alla Chiesa Madre.
Ho riassunto con le stesse parole il contenuto delle due testimonianze.
Sembrano barzellette; ma allora erano faccende da ... Sant'Uffizio!

Ed ecco come andò a finire secondo il racconto del Soriani:  "Le lunghe contese, che da molti anni vertevano tra i due Capitoli, e le popolazioni delle due parrocchiali di Lugo, determinarono don Cristoforo Degiovanni preposto di S. Giacomo a portarsi a Roma ai piedi del Pontefice, per terminare le rancide pretese della preminenza.
Benedetto XIV, essendo a giorno di tutto dacchè vestiva la Porpora, a tre di Maggio (1741) troncò la questione firmando la bolla - Copiosus in misericordia Deus - colla quale ordinò che i due Capitoli di S. Maria ed Ilaro, e di San Giacomo si riunissero in un sol corpo, e che tenesse officiatura nella chiesa di S. Giacomo, promossa al grado di Insigne Collegiata col titolo dei Santi Petronio e Prospero, variando il nome di Parrocchiale di S. Maria ed Ilaro in quello di S. Francesco di Paola, acciò col perdersi gli antichi nomi delle due parrocchie, si estinguessero le inveterate contese.
Decretò che la Chiesa di S. Maria, dopo la morte del di lei parroco don Livio Cicognini, Preposto, tornasse a semplice cura d'anime, sotto la dipendenza dei parrochi de' Santi Petronio e Prospero, che provvederebbero ai bisogni delle due Chiese mediante tre Cappellani Vicari.
Soggiunse pure essere sua volontà che i due Prepostì Degiovanni e Cicognini dovessero conservare i rispettivi gradi e onori; ma che in ogni circostanza i Canonici del soppresso Capitolo di S. Maria ed Ilaro dovessero cedere la preminenza a quelli di San Giacomo.
Finalmente ordinò che dopo la morte dei Canonici dei due soppressi Capitoli, il loro numero fosse limitato a soli 12 e che vi fossero quattro Dignità ed otto Mansionarì.
Queste disposizioni furono legalmente e solennemente pubblicate nella Chiesa Collegiata dei santi Petronio e Prospero il 22 luglio 1741, alla presenza di Monsignore Antonio Fabbri, Vicario Generale e di Monsignor Fran­cesco Maria Marelli, Vescovo d'Imola.
Oltre la dignità di Preposto conferita ai due Sacerdoti Degiovanni e Cicognini, furono create le altre tre: don Antonio Lugaresi, fratello del Vescovo di Comacchio fu destinato priore; l'Arcidiaconato fu conferito al Conte Francesco Bolis e don Girolamo Francesco Zaccari fu scelto Arciprete. I Canonici del soppresso capitolo di S. Maria passati a far parte del nuovo, furono: Giacinto Allegretti, Giam­battista Cricca, Costantino Grechi, Giambattista Fugattini, Cesare Antonio Capra, Alessandro Francesco Azzaroli, Cristoforo Canuti, Tommaso Battista Verlicchi, Alberto Lugaresi, Giuseppe Maria Randi, Giambattista Milani, Alessandro Zanotti; i Mansionari: Tommaso Cristoferi, Giacomo Antonio Stoppa, Nicolò Cavanti, Giannantonio Casagrandi, Giuseppe Begnis. Michele Dalbuono, Domenico Vincenzo Cavanti e Sebastiano Emaldi, che rinunciò nel 26 luglio.
I Canonici del Capitolo di S. Giacomo erano:
Innocenzo Malerba, Giuseppe Antonio Malerba, Cristofero Malusardi, Domenico Bongiovanni, Domenico Maria Selli e
Giuseppe Baldassarre Tamoni;
i mansionari: Andrea Bucchi,
Luca Antonio Fabbri, Giuseppe Golfarelli, Innocenzo Selli e
Antonio Maria Fabbri.
Il numero dei Canonici dopo la morte dei membri che componevano i due Capitoli si limitò a dodici; ma Bartolomeo Bertazzoli vi aggiunse il decimo terzo di sua famiglia.
Tutte le giurisdizioni parrocchiali della Chiesa di S. Maria ed Ilaro si concentrarono nella nuova Insigne Collegiata de' Santi Petronio e Prospero, per essere morto il Parroco don Livio Cicognini nel giorno 17 di settembre dello stesso anno, con dispiacere generale di quella sua greggia.
Rimasta vedova del suo pastore la Chiesa di S. Maria, in conseguenza della Bolla Benedettina, il preposto Degiovanni, uomo di gran maneggio e molto destro prese tosto il legale possesso e nella notte del 24 dicembre fece levare da quella soppressa Parrocchia il lavacro battesimale, che sopra un carro fu trasferito alla Collegiata dal Cappellano don Bernardino Baldrati, scortato da Giu­seppe Degiovanni e da Pietro Delmonte, il primo nipote e il secondo domestico dell' accennato Preposto.
L'ultimo battezzato in S. Maria dal cappellano don Giovanni Stefa­nini nel 23 decembre 1741 fu, per quanto si rileva dai libri battesimali, Tommaso Livio di Domenico Sangiorgi.
Per l'avversione che nutrivano i Parrocchiani di S. Maria a quelli di S. Giacomo, continuarono a portare i loro infanti al sacro lavacro di Barbiano, quasi fino all'invasione dei Francesi."


Il racconto del Soriani, di rara efficacia e che rasenta il giallo nel prelevamento notturno del fonte battesimale da S. Maria nella notte della vigilia di Natale, mette in rilievo il carattere punitivo del provvedimento papale nei confronti della stessa Chiesa, declassata da parrocchia a cura d'anime. Il Preposto di Brozzi ci fa una pessima figu­ra, dimentico dell'aurea massima di S. Agostino: esto, bellando, pacificus, ut eos quos expugnas ad pacis utilita­tem, vincendo, perducas ...
Il parroco di S. Giacomo volle stravincere.
Eppure si era trovato di fronte a un dramma punteggiato da dimissioni, morti premature, ribellioni di un popolo; forse ci pensò, forse fu minacciato.

Sta di fatto che il Soriani, procedendo nella sua storia, ci fa sapere: "Si disse, superiormente (in precedenza) che in esecuzione della Bolla Benedettina la Chiesa di S. Maria ed Ilaro cessò di essere parrocchia alla morte del suo Preposto don Livio Cicognini, e che alla cura di quelle anime dal preposto Degiovanni fu destinato un Cappellano nella persona di don Giuseppe Bovi.
Quella Popolazione pertanto più che mai amareggiata, dopo qualche anno, con tutta l'energia fece sentire al Pontefice quanto fosse dolente per tale innovazione. Il preposto Degiovanni, uomo che molto a lungo vedea, temendo insorgessero le antiche pretese, volò ai piedi del Pontefice, col quale tanto si adoprò, che se non poté impedire che alla Chiesa di S. Maria non venissero giustamente restituiti gli antichi diritti, almeno ottenne che questa non fosse diretta da un Parroco prete, ma che invece fosse ceduta in perpetuo, come Parrocchiale, alla religione dei Padri Scolopi di Roma e che il di lei parroco portasse il titolo di Curato. (Gli Scolopi rinunciarono ai loro diritti il 28 settembre 1838, trasferendoli al Vescovo d'Imola e suoi successori.) Nel giorno pertanto di S. Sebastiano (20 gennaio) del 1758 giunsero in Lugo diversi religiosi Scolopi, ai quali nel giorno dopo, per ordine Santissimo dell'uditore di Monsignor Bandi, Vescovo d'Imola, fu dato il possesso della Chiesa ed albergo contiguo, venendo eletto per Parroco, col nome di Padre Curato, il Religioso Paolo Fabbri, toscano, e la Parrocchia proseguì a chiamarsi di S. Francesco di Paola. Le due Confraternite del SS. Sacramento e di S. Carlo Borromeo furono soppresse e quei beni erogati pel mantenimento di quei religiosi, ai quali, oltre la cura delle anime, venne eziandio aggiunto il peso di insegnare l'Aritmetica.

I due Cappellani dipendenti dal preposto de' Santi Petronio e Prospero furono licenziati e l'annuo loro onorario di scudi 40 fu, dal capitolo, dato a quei Religiosi fino al 1798, in cui furono soppressi dal Governo Cisalpino unitamente alle altre corporazioni religiose.

Come tutte le storie che si rispettano, anche quella degli Scolopi a Lugo ebbe un prologo e un epilogo.
Mi pare perciò opportuno completare il racconto del Soriani.
Il prologo della venuta a Lugo è posto negli anni 1693-94. quando il nostro Magistrato (Comune) chiese all'allora Superiore generale delle Scuole Pie, P. Gianfrancesco Foci, emiliano, l'invio a Lugo di alcuni insegnanti per aprire alcune scuole pubbliche.
L'invito però era talmente gravoso per gli Scolopi che vi rinunciarono.
Poi venne il Breve di Benedetto XIV del 1756, una copia del quale trovasi presso l'archivio parrocchiale di S. Francesco di Paola, che affidava questa parrocchia in per­petuo agli Scolopi.
Quelli destinati a Lugo, in primis P. Antonio Fabbri curato, il nome Paolo indicato dal Soriani va quindi o sostituito o integrato, mossero da Bologna il 10 gennaio 1758 per Imola, per gli ultimi contatti e accordi con il Vescovo, cardinale Giovanni Carlo Bandi.
Il 20 successivo da Imola arrivarono a Lugo verso sera, ove il prevosto Degiovanni aveva fatto preventivo deserto.
Ecco cosa scrive, in proposito, P. Osvaldo Tosti, storico dell'Ordine, al capitolo Lugo: "La mattina seguente (21 gennaio) il Provinciale prese regolare possesso della chiesa e della canonica, che trovarono priva di tutto per camere e cucina quando vi si stabilirono, la sera del 23, il Provinciale, il P. Curato Fabbri e il Fratello Operaio Girolamo Cassari della Croce, venuto la mattina da Modigliana. Il P. Generale spedì e fece spedire subito denaro e roba per cominciare i lavori di adattamento e ampliamento del locale; ma non giungendo alcun sussidio da parte del Magistrato cittadino, sia da parte di privati, fu difficile e doloroso giungere alla costruzione del locale adatto per l'alloggio e le scuole e l'acquisto di tutto il necessario per l'uno e le altre".

In parole povere, gli Scolopi ebbero un'accoglienza da cani; e le loro prime notti lughesi, si era in pieno inverno, non dovettero essere allegre.
Agli inizi di novembre arrivò P. Giovan Gualberto Angeli in qualità di ".maestro d'abaco e scritto." segno evidente che solo allora gli Scolopi erano stati in grado di preparare la scuola.
L'anno seguente giunse il P. Pompilio Pirrotti ".zelantissimo religioso napoletano." così indicato nel suo diario dal padre curato Fabbri.
Il futuro santo scolopio partì da Lugo nel maggio 1762.
Nel 1764 gli alunni della scuola erano trentacinque.
Questo il prologo e l'inizio degli Scolopi nella nostra città. E l'epilogo?
Eccolo nelle parole del già citato P. Tosti: "I Padri della Provincia Toscana vi tornarono (a Lugo) nel 1881, in un locale vicino all'antico, per munificenza dei Conti Emaldi, e la nuova casa fu intitolata al Ven. Pompilio; ma nel 1884 per sommosse anticlericali dovettero abbandonarla".

Occorre a questo punto una precisazione e una rettifica.
L'Emaldi, allora capo della famiglia era Raffaele che nel 1890 era presente alla beatificazione di Pompilio Pirroti in Roma da parte di Leone XIII.
Era stato educato sempre a Roma, nel Collegio Convitto dei Nobili, diretto dai Gesuiti, dal 1863 al 1869 e aveva conosciuto di persona la fondatrice delle Figlie di S. Anna, Anna Rosa Gattorno.
Desumo queste notizie dalla corrispondenza di Raffaele Emaldi e la Superiora delle Maestre Pie Filippine, Suor Rosa Leoni, gentilmente messami a disposizione da queste Rev. Madri.
Quanto al 1884, malgrado le ricerche su "Il Lavoro", il noto settimanale di Ercole Bedeschi, non ho trovato nessuna notizia di disordini anticlericali tali da giustificare la partenza degli Scolopi.
Il motivo quindi della loro definitiva secessione da Lugo dovette essere un altro, che io non sono in grado di indicare.
La nuova chiesa di S. Francesco di Paola declassata da parrocchia a cura d' anime, rimase tale per 17 anni e non ebbe più un parroco, come tutte le altre della diocesi fin dopo il periodo napoleonico, essendo retta dagli Scolopi, curati parroci mentre dovette attendere ben 180 anni per riavere il fonte battesimale che rientrò in funzione nel 1921.
E' altresì vero che S.Giacomo perdette anche il Capitolo e il titolo di Perinsigne Collegiata a favore di S. Francesco ma ciò avvenne nel 1828 e a seguito di una serie di circostanze singolari in parte dovute alle vicende storiche del tempo che coinvolsero tutta l'Europa.

La rettoria degli Scolopi fu esemplare; tra gli altri fiorì in Lugo il Santo Pompilio Pirrotti che non fu parroco, ma fervido coadiutore dei curati parroci suoi confratelli dispensando i tesori della sua anima in un ministero di fede e di carità cristiane ammirevoli.
Di lui, quasi sacre reliquie, rimangono in parrocchia alcuni effetti personali custoditi degnamente, tra di essi un cilicio che il santo scolopio portava per castigare il suo innocente corpo a favore delle anime sante e di tutti coloro che avevano necessità della redenzione cristiana.

Come reagì il clero e la comunità di S. Maria di fronte a questo turbine che sconvolse la vita religiosa di una parte cospicua della città?
Già vedemmo che la popolazione preferì andare a Barbiano a battezzare i suoi figli, mentre si stringeva attorno al suo clero secolare.
Poco prima del 1770 il canonico Giambattista Fugattini, la cui famiglia figura nella Tavole Albriziane, con stemma e titolo "a S. Maria", già membro del capitolo di questa chiesa, passato poi, a seguito della bolla di Benedetto XIV a quello di S. Giacomo, costruì una chiesuola, poi trasformata in casa nel periodo napoleonico, ora di proprietà Rambelli, posta nell'angolo di via Strocchi con via Garibaldi, che volle fosse sede di una comunità ecclesiastica.
Ma ecco il racconto del Soriani (Supplemento Storico sulla Origine e Progresso della Città di Lugo - Melan­dri - Lugo 1834 - pag. 82)  "Il Canonico Giambattista Fugattini lì 22 agosto (1771) ordinò per testamento, che dopo la sua morte si erigesse nella Chiesuola, da lui fondata, una Comunità di Preti, nativi delle parrocchie di S. Francesco di Paola o di S. Martino Canal Ripato o di Zagonara, esclusi quelli de' santi Petronio e Prospero e fissò l'annuo emolumento a Scudi 60 da lucrarsi nella celebrazione di Messe ed Offici mortuari. Nominò suoi esecutori testamentari il Padre Paolo Fabbri, Curato di S. Francesco di Paola, il canonico Cavanti e don Cristoforo Calderoni, i quali tosto diedero principio a questa Ecclesiastica corporazione coi Sacer­doti ricordati dal testatore, e cioè don Cristoforo Calde­roni, don Giambattista Cavanti, don Benedetto Zappi, don Giambattista Cicognani, don Francesco Stoppi; e, dopo questi, don Giuseppe Bolognetti, don Giuseppe Grechi, don Ottavio Ruina, don Giuseppe Mazzarini e don Mario Bandini".


Questa Comunia, che tanto diede da fare ai commentatori del "Diario" di don Agostino Poggiali, sorse certamente in odio al Clero di Brozzi, che di fatto ne era escluso, e denotava che la rivalità tra le due chiese covava ardente, sotto un appena sottile velo di cenere.
Altra iniziativa che non è pensabile facesse piacere al clero di S. Giacomo fu l'apertura di un'altra chiesetta in via Cento, all'angolo con la Carrara dei Cappuccini, altro grosso ostacolo per i suddetti commentatori, dedicata alla Madonna col titolo della Consolazione.
Fu benedetta dal canonico Priore Antonio Lugaresi, Vicario Foraneo, insigne ecclesiastico, membro della omonima, nobile famiglia, divisa in due rami, come si rileva dalle Tavole Albriziane, con titolo, una, all'Ospedale del Limite e, l'altra, alla Tessella, ambedue appartenenti alla parrocchia di S. Maria.
Come già vedemmo, il fratello, Cristoforo, venne eletto vescovo di Comacchio nel 1741, da Benedetto XIV e morì pochi mesi dopo il papa, nel 1758; fu sepolto solenne­mente in S. Domenico.
Antonio è l'autore di una cronaca di Lugo, della quale esistono alcuni manoscritti, uno dei quali presso la nostra biblioteca (ne è auspicabile la pub­blicazione,) che va dal 1765 al 1788.
Egli stesso ci narra, brevemente, in quella sua cronaca, la cerimonia della benedizione della chiesetta avvenuta il 15 gennaio 1786.
C'è da pensare, dalla lettura della notizia, che il sacro edificio sorgesse a spesa dello stesso Lugaresi o che egli ne sia stato il promotore e il maggiore benefattore.
E mi pare che anche qui vi sia un atto di sfida nei confronti dell'Insigne Collegiata dei Santi Petronio e Prospero, ravvi­sabile fin dal titolo: Madonna della Misericordia o della Consolazione (Consolatrix Afflictorum!); che di fatto S. Maria, dopo la batosta, di consolazione aveva necessi­tà.  
Ho riportato la data di apertura al culto della chiesetta quale indicata da Antonio Lugaresi nella sua "Cronaca" (f. 496) come la più attendibile, trattandosi di un diario, se non quotidiano, di una certa continuità, ove non è pos­sibile commettere errori, almeno di data.
Tuttavia, per dovere di informazione, debbo riportare la diversa versione fornita da altro cronista lughese, Tommaso Baldrati, anch'egli contemporaneo dei fatti narrati.
Egli dunque scrive che questa Sacra Immagine ".fu messa in venerazione nel 1762 in una capanna." senza tuttavia precisarne il sito.
Il 14 agosto 1780 l'Immagine fu portata in forma solenne nella parrocchia di S. Francesco di Paola, ove venne benedetta dal Padre Curato Fabbri, tale dal 1758, data di ingresso degli Scolopi a Lugo, ove rimase fino al 1784, quando venne promosso provinciale dell'Ordine.
Oltre la benedizione la Sacra Immagine ricevette anche il titolo di Beata Maria Vergine della Consolazione e Provvidenza.
Nacque pure, per l'occasione, la relativa Pia Unione.
Per toglierla dalla capanna venne comprata, a spesa della stessa Unione, una casetta di proprietà dell'Opera Pia Orfane, della quale era livellario, oggi si direbbe affittuario, un Ippolito Bedeschi, che venne trasformata nell'attuale chiesuola nel 1783.
Forse le due date non sono contraddittorie.
Infatti il 1783 indicato dal Baldrati potrebbe essere la data della compravendita e dell'inizio della trasformazione; completandosi negli anni successivi la chiesa, poi aperta al culto nel 1786 con la benedizione del Lugaresi.
La festa veniva celebrata la seconda domenica d'agosto di ogni anno, con solenne processione fino alla parrocchia.
Alla festività Pio VI aveva concesso indulgenza plenaria.
Da allora la Carrara dei Cappuccini prese il nome di Via della Consolazione, poi tramutato in Via Laica, quando il laicismo, più di oggi, era religione di Stato.
Ora si chiama Via Cardinal Massaia, l'eroico missionario cappuccino nell'Etiopia dei Negus.

Durante il periodo napoleonico l'Immagine trovò ricovero presso i Cappuccini.
Tutto tornò allo "statu quo ante" il 1° agosto 1816.
Ricordo alcune feste svoltesi d'agosto tanto tempo fa; oltre la funzione religiosa si svolgevano corse nei sacchi, corse con le rane sulle carriole, allora c'erano rane e carriole, ora non più e l'immancabile albero della cuccagna.

Don Evaristo Venturini, altro prete di S. Maria agli inizi del secolo aveva dato vita a un fiorente movimento giovanile cattolico di operai, fondando un circolo dotato di scuole serali, di biblioteca circolante, di squadra ginnica, di fanfara e di altre iniziative sociali.
Tutta questa attività egli finanziava coi proventi del cinematografo che aveva aperto, per primo, in Lugo e del quale conservò il monopolio fin all'ultima guerra.
La casa di don Venturini era posta in via Emaldi, di fronte alle Suore di S. Giuseppe, ove ora si apre il cortile dell'Enal.
Fieri erano i contrasti specie con il Partito Repubblicano, allora il più forte in città, con larga base popolana.
Il circolo cattolico di don Venturini era, per loro, una spina pungente e molesta; fiera se non feroce la polemica continua, come ne testimonia la stampa di quel tempo.
Mi raccontava Duilio Cortesi, campanaro di Mons. Ricci Bitti, che una volta la fanfara era andata a S. Lorenzo per rallegrare una festa di quella parrocchia; andata e ritorno a piedi, naturalmente.
Al rientro a Lugo, quasi a sfida, la fanfara imboccò porta Brozzi per rientrare in sede passando dalla piazza.
Forse intonava inni non graditi agli orecchi dei repubblicani, dei quali Brozzi era un caposaldo; non a caso nel 1887, quando la toponomastica cittadina venne adeguata alle esigenze risorgimentali, Brozzi prese il nome di corso Mazzini.
Sta di fatto che la fanfara venne bloccata e si accese la lite.
Duilio tagliò subito la corda, perchè, mi disse, non era mai stato molto coraggioso; e lì c'era da buscarle.
Ma Abbosino, che se già non lo era, divenne poi raccoglitore di rifiuti urbani e Bacchilega, l'acquaiolo passato alla leggenda col suo asinello e la sua botte sul carrettino, si aprirono la strada a trombonate, usando gli strumenti a modo di clave.

I tempi sono cambiati; ma la ruggine tra i rioni era sempre in superficie.
Oggi si cerca di farli rivivere col Palio, ma è artificio.
Questi, però sono racconti da strapaese e con la storia della Parrocchia non hanno molto a che vedere. Opportuno invece un cenno alla Tessella, ricordata poco fa.
Occorre risalire all'anno della grande peste di manzoniana memoria e che dimezzò la popolazione di Lugo; seimila furono i morti e cinquemila i superstiti, quando nel 1630 Andrea Teselli ma forse è meglio leggere Tesselli, di famiglia barbianese, trasferitasi a Lugo dopo la distruzione di quel Castello, colpito dalla peste, il 7 settembre, lasciò per testamento i suoi beni, mobili e immobili, ai Domenicani affinché celebrassero tre messe giornaliere, in perpetuo, per la sua anima e quelle dei suoi famigliari in una Cappella da erigersi in una delle due chiese o di S. Domenico o della Madonna del Molino. Il 16 settembre successivo, con codicillo, il Tesselli diede facoltà agli esecutori testamentari di sostituire la costruzione di una cappella in una di quelle due chiese, con la costruzione di una chiesetta autonoma, dedicata a S. Anna, cui il testatore era molto devoto.

E così avvenne che la chiesetta sorse nella strada di S. Maria, quasi di fronte alla "Carrara" di S. Domenico, ora via Compagnoni, di larghezza la metà di quella attuale, che portava al convento di S. Domenico, il cui portone si apriva sull' attuale sede stradale, in linea con l' edificio scolastico delle Suore di S. Giuseppe; ma la strada fu aperta dopo, nel 1648.
La casa comprata e trasformata in chiesa rimase affidata ai Domenicani fino al 1798,  quando  la Cisalpina sciolse tutte le corporazioni ecclesiastiche e alienò tutte le chiese all'infuori di quelle parrocchiali. S. Anna alla Tessella è ora la casa di proprietà Bongiovanni.
I Lugaresi alla Tessella abitavano nella casa che fu dell'Alfreda Poggialini Bucchi.
Ultima notizia a proposito della peste: infierì dal luglio 1630 all'aprile, il Bonoli indica addirittura il 27, dell'anno successivo.
E qui si chiude la parentesi della Tessella. Intanto Lugo andava prendendo il suo aspetto attuale, specie quello del centro storico.
Vengono abbattuti e rifatti antichi edifici, altri, nuovi, ne sorgono. Iniziarono i Carmelitani con il rifacimento della loro chiesa nel 1750 seguì la costruzione del teatro nel 1758. Nel 1762 i francescani diedero mano al rifacimento del loro tempio, quasi contemporaneamente all'ampliamento di S. Giacomo.
Nel 1764 viene costruito il palazzo Trisi, cui, nel 178l seguì il completamento del Pavaglione.
Da ultimo nel 1787, ormai unico ospedale della città, prende il nuovo aspetto il Limite, con incorporata la vecchia cappella della Madonna omonima.
Il progetto di quest'ultima fabbrica si deve allo scolopio Giuseppe Petrucci, uno degi animatori della rivolta lughese contro i francesi, e ultimo curato parroco di S. Maria, fino alla soppressione dell'ordine religioso cui apparteneva, avvenuta ad opera della Cisalpina nel 1798.
Secolarizzato continuò a reggere la parrocchia fino al 1815.
Ecco come don Agostino Poggiali nel suo "Libro di memorie delle cose più rimarchevoli che giornalmente succedono in Lugo e fuori" descrive l'avvenimento. "Maggio 1815 - Adì 6 - Passò agli eterni riposi il sacerdote Giuseppe Petrucci, parroco ex-scolopio di S. Francesco di Paola, vulgo S. Maria." Singolari le vicende della salma, che il giorno 7, dopo i funerali, venne portata al cimitero nuovo, (inaugurato con solenne cerimonia civile e religiosa da mons. Alessandro Alessandretti, imolese, Vescovo di Macerata, il 12 aprile 1807), ove fu sepolta "chiusa in cassa".
Il Poggiali, continuando, ci fa sapere che il 12 successivo, sull'Ave Maria della sera, per indulto speciale del governatore austriaco di Bologna e di mons. Vicario d'imola, fu riscoperta la cassa col cadavere del parroco di S. Maria, Giuseppe Petrucci, ed accompagnato alla sua parrocchia dal Clero e le sue due compagnie del SS. Sacramento, ove fu sepolto in quella chiesa."

Gli subentrò con veci di parroco il dottore don Domenico Tassinari, che fu il primo prete secolare a ricoprire quell'incarico dopo la soppressione degli Scolopi
Non possiamo passare sotto silenzio, prima di inoltrarci nel XIX secolo, le vicende della nostra Parrocchia in quell'evento tra i più gravi, se non il più grave nei secoli della nostra storia, noto come il "sacco di Lugo".
Mi limiterò ai fatti nei quali la parrocchia, sotto la guida, come abbiamo visto, dello scolopio don Giuseppe Petrucci, venne coinvolta.
Le principali fonti degli avvenimenti accaduti, citate anche dal prof. Alfonso Lazzari nella sua storia su quel periodo, sono due:
1) Cenno storico del moto e saccheggiamento di Lugo nel 1796, scritto da Gianfrancesco Rambelli, figlio di Filippo, che fu attivo membro del Comitato dei rivoltosi; un libriccino minuscolo che ebbe molto successo e molte edizioni;
2) Supplemento storico sulle origini e progresso della città di Lugo di Antonio Soriani, pubblicato nel 1834; lo stesso anno nel quale uscì la prima edizione dell'ope­retta del Rambelli.

Ambedue essendo testimoni dei fatti, direttamente il Soriani, indirettamente, tramite il padre, il Rambelli, non si può dubitare del loro racconto.

All'aurora del 7 luglio 1796, ore 9 secondo gli orologi di allora, Lugo, in rivolta venne assalita da due colonne dell'esercito francese in Italia, sotto il comando di Napoleone; una proveniente da Ferrara che cozzò contro la difesa lughese disposta sull'argine destro del Santerno e che non riuscì a passare; l'altra proveniente da Imola, sotto il comando del futuro maresciallo, duca di Castiglione (delle Stiviere), Augerau, che aveva posto il suo quartiere generale a Solarolo.
Quest'ultima marciava su Lugo, su due direttrici: dal Molinello per Zagonara e da Barbiano sulla Felisio.
Giunti nei pressi della seconde rive, (incrocio Felisio-Zagonara e Madonna di Genova,) ove sorgeva Villa Bolis e ove è sorta Villa Maria, incontrando forte resistenza, schierarono l'artiglieria, che, come dicono i nostri storici, i Lughesi non avevano ancora sperimentato; sicchè terrorizzati si dispersero con­fluendo in città, per poi porsi in salvo verso nord.
I Francesi avanzarono allora fino alla prime rive (incrocio Felisio-prov. Bagnara), e stavolta i proiettili incendiari caddero su Lugo, ove andarono in fiamme due case adiacenti alla porta di Faenza, la porta di S. Bartolomeo con l'annessa casa addossata a sud.
Non trovando resistenza proseguirono verso Lugo, attestandosi "alla distanza di 100 tese dall'abitato"
Poiché la tesa, corrispondeva alla lunghezza delle braccia stese orizzontalmente, era una misura molto ... elastica e corrispondendo quella francese a circa m. 1.90, possiamo localizzare la linea francese presso a poco all'altezza dell'attuale binario della ferrovia Lugo-Castelbolognese.

Da lì un trombettiere con bandiera bianca, scortato da quattro dragoni si portò vicino alla porta chiedendo la resa in cambio dell'occupazione pacifica della città.
Ma alcuni colpi, partiti dalla porta uccisero il disgraziato messo.
I Francesi allora mossero all'assalto finale, previo bombardamento, il primo colpo del quale "... caccio a terra, colla palla, la Croce del campanile dell'Ospitale degli Infermi, poscia danneggiò il muro del frontone sopra l'arco della porta della fabbrica Fiera ... (Pavaglione).
Quel segno venne conservato fino all'ultimo restauro del Pavaglione, in questo dopoguerra; era un incavo rettangolare, corrispondente alla mancanza di due mattoni in altezza e larghezza, evidentemente artefatto sull'antico buco sbrecciato, in alto, a destra, sull'arco d'ingresso di fronte al corso Garibaldi.
Così io lo vidi e con me i più vecchi lughesi; così come vidi la famosa palla, simile a quelle che lanciano i nostri moderni pesisti nelle gare di atletica, conservata in un armadio dell'Ufficio Economato.
Fu lo stesso economo, Corrado Contoli, a mostrarmela, un giorno che il discorso cadde su quei fatti.
Non so che fine abbia fatto.
Altre palle caddero, con morti e danni, un po' ovunque, specie sulla via Cento, la più esposta, perchè a ridosso del rivale a sud e non esistendo ancora la via Passamonti.
Entrati a forza nell'abitato, i Francesi piazzarono un mortaio nel Trebbo; ma mentre il capocannoniere era intento a metterlo in posizione, una trombonata partita dal tetto di S. Rocco l'uccise sul colpo.
Gli storici riportano il nome di quell'animoso "cecchino": Stefano Costa detto Soladino.
Scrive il Rambelli: "Dicesi (che) il capitano francese gridasse a tal colpo: bravo soldato, viene abbasso!"
E non per farlo fuori, ma per arruolarlo, come dicono altre fonti, compreso il Lazzari.
I dragoni avanzarono fino al sagrato di S. Maria, senza poter proseguire per l'intenso fuoco loro opposto da casa Borea e da quella del lato opposto, ultimamente Ballanti.
La solita trombonata, stavolta di Antonio Gognoni detto Cedrino, stese a terra il sergente che comandava il reparto, che ritiratosi al Trebbo mise a tacere con prolungata fucileria, appoggiata da qualche colpo di cannone gli ultimi "cecchini".
Poi i dragoni dilagarono per la città e iniziò il saccheggio.
Erano le ore 15 del 7 luglio, corrispondenti alle nostre 10 antimeridiane.
Dice il Rambelli:"All'ultimo, l'ore 14 di quel dì (8 luglio) (Il giorno dopo l'ingresso dei francesi) tre prima del mezzogiorno, poneano fine al continuato sacco, mentre il Generalissimo richiamava di subito tutte le squadre all'assedio di Mantova. Partivano quindi le truppe francesi precedute da 17 (altri dicono 25) carri di ricchissime spoglie della misera Lugo ..."
E, in nota, aggiunge: "Lo stendardo della Confraternita della Croce, tutto di seta bianca con gran Croce Rossa che interamente lo attraversa, creduto del Comune, fu collocato nell'Ospedale degli Invalidi a Parigi, fra l' altre bandiere tolte a' nemici della Francese Repubblica."

Il fatto è confermato dal Soriani.
Lo stesso racconta: "Diversi soldati entrarono nella chiesa di S. Maria Annunziata, ove erano in gran numero rifugiati uomini e donne col curato Petrucci. Niuno perì; le donne vennero spogliate perfino degli orecchini; a questa chiesa furono tolti sette calici d'ar­gento e la corona del Bambino della B.V. della Cintura, non così quella della B.V. sebbene fosse d'argento".
Dopo ventitre ore di saccheggio e abbandonata precipitosamente dalle truppe francesi, chiamate a Mantova da Napoleone per la battaglia che doveva decidere della campagna d'Italia, Lugo restò in balia, per parecchi giorni ancora, dell'ignobile sciacallaggio dei cotignolesi, dei bagnacavallesi, dei fusignanesi e della gente del nostro contado che completò la rovina, forse la minore, iniziata dai francesi.

Agli altri titoli di merito S. Maria può aggiungere anche quello di ultimo e fiero baluardo della resistenza lughese all'esercito del grande Napoleone.
Verso la fine di aprile del 1814, Pio VII toccava di nuovo la sua Romagna dopo l'esilio di Parigi.
Grandi i festeggiamenti; Agostino Poggiali nella sua "Cronaca", scrive: iam redeunt Saturnia Regna ...
Ma forse nell'età dell'oro, che poi era quella delle parrucche incipriate, dei cicisbei, dei cavalier serventi, non credeva nemmeno lui.
Tanti e tali erano stati i rivolgimenti nei costumi, nel pensiero, nelle coscienze che Napoleone aveva seminato per tutta Europa.
Tanto è vero che anche Lugo, angolo sperduto d'Italia, anche se elevata a rango di Città nel 1817, vide ergersi il patibolo tra la Rocca e il Pavaglione e alcune teste nel paniere della ghigliottina.
Ed erano dei primi ribelli alla Restaurazione.
Una grande rivoluzione era avvenuta e stava compiendosi anche tra il Clero lughese, coinvolgente l'ordine e la preminenza delle chiese locali.
Sulle rovine dei Minori Conventuali, che sparirono dalla vita cittadina, era sorta la nuova Collegiata, che dal 4 ottobre 1828 era subentrata a S. Petronio e Prospero, assumendo le funzioni di chiesa della comunità.

Innumerevoli i Te Deum ivi cantati già da prima in omaggio a Napoleone, l'imperatore che aveva il vizio di vincere tutte le battaglie; fino a quando inciampò a Waterloo, che fu la sua rovina.
E anche questa venne celebrata con il consueto Te Deum sotto le volte del Morelli, la più ampia e solenne aula della Città, con intenti ovviamente opposti ai primi.
Dieci anni dopo, nel 1838, la Collegiata venne eretta in parrocchia, con assorbimento del territorio cittadino a oriente della Rocca, stralciato da Brozzi, ridotta perciò in minorità, non più Collegiata e nemmeno parrocchia pre­minente.
Nella spartizione non cadde, se non per alcuni tratti marginali, S. Francesco di Paola, che continuava a vivacchiare senza parroco, amministrata da economi spirituali.
Ciò non impediva il normale corso della vita religiosa di questa comunità, sulla quale gravava sempre l'ombra della famosa: Copiosus in misericordia Deus del Lambertini.

Per trovare il primo parroco regolarniente insediato occorre attendere il 1854. Diventa invece sempre più solenne la celebrazione della festa del patrono, terza domenica dopo Pasqua, tanto da trasformarsi in sagra paesana.
Eccellenti i predicatori via via succedutisi nel tempo.
Ad esempio il triduo preparatorio del 1836 venne affidato al barnabita Ugo Bassi, che ritornerà a Lugo nel 1849, in catene, sostando al Trisi, sulla via di Bologna, ove l'attenderà la fucilazione.
Erano chiamati, i predicatori da spolvero", con evidente allusione alla polvere nella quale seppellivano gli antagonisti nell'agone oratorio.
I giovani, entusiasti, staccavano i cavalli dalle carrozze che li trasportavano alla chiesa, subentrando essi stessi sotto le stanghe ad effettuare il traino.
Vecchi entusiasmi e vecchi tempi.

Ciò avvenne anche nel 1841, in occasione del centenario della intitolazione a S. Francesco di Paola.
La confraternita che dal santo prende il nome, fondata nel 1737, ma costituita, canonicamente, nel 1828 e penso che sia l'unica data esatta, tra le tante indicate da varie parti, sotto la guida del parroco e del clero, promosse un solennissimo triduo celebrato il 21,22,23 maggio, per ricordare "... l'anno centenario da che S. Francesco di Paola fu dato a protettore e titolare primario della Chiesa Parrocchiale."
Aggiungono le cronache del tempo che furono eseguite musiche grandiose dei "celebri" maestri Vincenzo Marchesi, Giuseppe Caravita, Gaetano Gaspari "membri dell'Accademia Filarmonica di Bologna".
Altrettanto dicasi del predicatore padre Michele Pascucci dell'Ordine dei Minimi di S. Francesco di Paola, che fece "spolvero".
Accompagnarono e seguirono il triduo le solite corse dei cavalli, luminarie e fuochi d'artificio.

Ultimo particolare.
L'epigrafe commemorativa, posta sulla porta principale della chiesa, era stata dettata da Francesco Capozzi, discreto letterato alla cui memoria e sulla casa ove abitò, quella ora Brusi, all'angolo di via Garibaldi con via Sassoli, la figlia murò una lapide, tuttora leggibile, cattolico-liberale secondo la definizione d'epoca, che voleva dire un liberale che frequenta anche la Chiesa e che vent'anni dopo, Regio Sindaco, cacciò, con astio, i Domenicani dal loro convento.
È  quello che si dice una stranezza della storia.

Nel 1864, forse per collabenza, venne abbattuto e rifatto il campanile; che poi nel 1890 fu sostituito da quello che era una copia della torre di S. Croce in Firenze, minato e fatto saltare dai Tedeschi durante l'ultima guerra.

Ma ormai i tempi erano maturi; il vecchio tempio risalente al 1300 non reggeva più.
Nel maggio 1888, in quei giorni nasceva Francesco Baracca, essendo parroco il canonico Pellegrino Sabbatani, che poi passò parroco a S. Cassiano a Imola, si iniziarono i lavori di demolizione.
Mio nonno materno, Giambattista Galvani, che fece smagliante carriera tra i braccianti, divenendo prima caposquadra e, prima di morire, capogruppo, allora era bracciante semplice, prese parte a quei lavori e mi raccontava che il gruppo del Gesù Morto era stato collocato nel sagrato, sotto un tettuccio di fortuna.
A Nicodemo e alle Marie quei lavoratori appendevano, a modo di attaccapanni, le loro giacche e i loro cappelli; e lo facevano con bonario motteggio.
I lavori procedettero con ammirevole solerzia ed esemplare rapidità, tanto che il 23 aprile 1890, ricorrendo l'annuale festa del patrono, il tempio venne inaugurato.
Progettista fu l'ing. Francesco Gualandi di Bologna, con l'assistenza sui lavori dell'ing. Severino Cappucci.

Si tratta di una costruzione di stile gotico italiano a tre navate, con le arcate cuspidali, rette da fasci di colonne, con volte a costoloni.
Vi sono dieci cappelle, cinque per lato, a distanza regolare e simmetri­che, delle quali quattro minori, a confessionale, interca­late con le maggiori.
Quella centrale, di sinistra detta del Ss. Sacramento, già di S. Carlo, poi della Madonna della Cintura, è quella originaria della vecchia chiesa, sorta, come vedemmo, agli inizi del 1600.
Oggi le cappelle a confessionale sono due, in quanto la prima a sinistra venne trasformata in battistero nel 1921, quando dopo centottantanni venne rimarginata l'ultima ferita prodotta dalla bolla di Benedetto XIV.
Quella corrispondente di destra accoglie il gruppo del Gesù Morto, ivi collocato dal parroco canonico Luigi Bacchilega in questo immediato anteguerra.
La lunghezza dell'edificio è di m. 50 per una larghezza di m. 24; la vecchia chiesa, di dimensioni molto più picco­la, arrivava a metri 30 di lunghezza per m. 16 di larghezza circa.
Poiché la Cappella detta di S. Carlo, ora del Ss. Sacramento, è rimasta intatta, non solo rappresenta l'unità di misura della vecchia chiesa, ma ci assicura che il muro di settentrione e la facciata delle due chiese coincidono; mentre la nuova si è allungata e allargata dalla parte sud, colla costruzione di un nuovo muro.
Ferme restando le dimensioni del sagrato, con l'aggiunta dell'ampia nuova abside che tocca la via Fermini, è stata tagliata in due tronconi la vecchia canonica, che prima formava un unico corpo, detto il "conventino", per avere ospitato gli Scolopi nella seconda metà del '700.

Nel 1907, quarto centenario della morte di S. Francesco di Paola, vennero promosse altre grandiose cerimonie.
Fin dal 1902 la Confraternita intitolata al Santo, attraverso un suo comitato formato dal parroco canonico Francesco Barelli, dal conte Tomaso Emaldi, priore, dal dott. Natale Capucci, priore e dal rag. Sante Orselli, segretario, cominciò a investire l'opinione pubblica sul significato e sull'importanza dell'avvenimento.
Nel 1905 il Comitato esecutivo, composto dal parroco canonico Redemisto Ricci Bitti, presidente, dal dott. Natale Capucci, cassiere, dal canonico Francesco Barelli, preposto, passato parroco alla Collegiata, dal conte Tomaso Emaldi, dal dott. Giuseppe Ortolani, dal sig. Gaetano Codecasa, dal rag. Sante Orselli, dal sig. Luigi Minzoni e da don Agostino Zoli, prete di S. Maria col fratello Giulio, segretario, con manifesto rivolto alla cittadinanza, pur senza specificare alcun programma, mancavano ancora due anni al centenario, spiegava i motivi dell'iniziativa ed enunciava i suoi intenti.

Fu pubblicato anche un numero unico, dal quale ho tratto queste notizie, una cui copia si trova nella biblioteca Trisi, ivi deposta dal bibliotecario dell'epoca, conte Giuseppe Borea Buzzaccherini.
Ho ricordato a lungo il 1907, perché quell'evento lasciò un tangibile e duraturo segno.
Infatti per opera del prof. Luigi Pozzi insegnante di disegno, poi preside della scuola complementare, figura caratteristica lughese, dal pizzetto sempre curato, nato nel 1876 morto nel 1946, la chiesa venne dipinta mirabilmente.
Altri artisti lughesi lasciarono la loro impronta nel nuovo tempio, oltre al Pozzi: Giulio Avveduti e Lucio Benini, specie nel battistero.


Vetrata di
S.Francesco di Paola


Statua della
Madonna della cintura


Altare dell'Angelo Custode


Altare del Crocifisso


Altare Maggiore


Cappellina della
Madonna della cintura


Altare di
S.Francesco di Paola


Altare di S.Anna


Altare
Madonna della cintura


Altare di S.Giuseppe